(Adnkronos) – "Mi sono ritrovata a fissare una scultura di ghiaccio di una donna i cui seni gocciolavano White Russian, un cocktail a base di crema e Kahlua. [Era] il baby shower organizzato dal fondatore di Google Sergey Brin e sua moglie Anne Wojicki (ad di Youtube, ndr), che aspettavano il loro primo figlio". Comincia così uno dei racconti di Kara Swisher, la più importante giornalista tech americana, che in 'Burn Book' condensa i 30 anni che hanno messo la Silicon Valley al centro del mondo. A quella festa di San Francisco, tutti gli ospiti (tranne lei e il futuro governatore della California, Gavin Newsom) erano stati costretti a indossare pannoloni per adulti o tutine da neonati. Inclusa Wendi Deng, all’epoca moglie di Rupert Murdoch. Il libro è pieno di storie gustose, spesso condivise con Walt Mossberg, decano del mondo tecnologico americano e suo mentore e socio. “Avrebbe dovuto scrivere lui la sua autobiografia. Quando ha deciso di non farlo, ho capito che toccava a me”, ha raccontato Swisher nel suo podcast. Al momento ne presenta due – Pivot e On – dopo aver lavorato per Washington Post, Wall Street Journal, New York Times, e aver organizzato conferenze di successo e fondato varie società editoriali, tra cui All things D e Recode. Quattro figli, è stata a lungo sposata con una dirigente di Google, mentre ora vive a Washington con la sua seconda moglie, che scrive per il “Post”: “Dovevo allontanarmi dalla Silicon Valley, ero diventata una creatura di quel posto”, ammette nel libro. Che parte da un concetto: “It was capitalism, after all”, in fin dei conti, era capitalismo. Ai fondatori dei giganti digitali piace raccontarsi come pionieri e visionari, in missione per rendere il mondo un posto migliore. E invece sono i soldi, sempre i soldi, il motore di tutto. Per l’autrice, a sua volta un’imprenditrice digitale (copyright Ferragni), arricchirsi non è un male, solo non sopporta più di sentirsi raccontare la favola dell’imprenditore illuminato. Anche perché lei li conosce e li ha raccontati tutti, alcuni dall’inizio della loro avventura: Swisher visitò il mitico garage di Google, fu tra le prime a intervistare Mark Zuckerberg (facendolo sudare in modo imbarazzante sul palco), ha raccontato l’ascesa di Elon Musk dalla “Paypal Mafia” all’acquisto di Twitter. I due, che erano amici, non si parlano più. Il messaggio che le ha inviato, “Sei una stronza”, è sulla quarta di copertina insieme agli elogi del magnate dei media Barry Diller e di Marc Andreessen, re dei venture capitalist. Mentre al centro del libro si può sfogliare una galleria di foto che sembra l’annuario del potere tech americano. “Burn book”, nel film Mean Girls, è il quaderno su cui le studentesse del liceo scrivono cattiverie anonime sulle loro compagne. E in effetti molti fondatori sono descritti come degli eterni adolescenti incapaci di gestire il successo strepitoso delle loro creature. Non mancano però i “buoni” : Marc Cuban, che nel 1999, prima bolla di internet, vendette il suo Broadcast.com a Yahoo per 5,7 miliardi e da allora si è messo a fare l’investitore; Mark Benioff, fondatore di Salesforce ed editore di Time; Evan Spiegel di Snap; Brian Chesky di Airbnb; Kevin Systrom di Instagram, Reid Hoffman di Paypal e LinkedIn. E poi ci sono i manager della seconda ondata, Sundar Pichai di Alphabet-Google, Tim Cook di Apple e Satya Nadella di Microsoft. Un posto speciale è riservato a Steve Jobs, personaggio dal carattere difficile che negli ultimi anni di vita aveva perso la crudeltà ma tenuto il sarcasmo. Nel 2007 lei e Mossberg lo portarono sul palco della loro conferenza prima da solo e poi in una storica intervista doppia con Bill Gates. Solo che Jobs, nell’uno-a-uno con Mossberg, aveva risposto così alla domanda sul successo di iTunes, un software Apple, anche tra chi usava Windows: “Sì, riceviamo lettere e biglietti da gente che ci dice che è la loro applicazione preferita. È come dare un bicchiere di acqua fresca a qualcuno che sta all’inferno”. Swisher imprecò tra i denti: se Windows è “l’inferno”, Gates è Satana. La notizia della frecciata arriva subito al fondatore di Microsoft, che inizia ad agitarsi nel backstage. Poco prima di andare tutti e quattro in scena, si ritrovano per una breve riunione con agli organizzatori. Che fanno a Gates una domanda su una sua società, e lui sbotta: “Perché dovrei saperlo? Io gestisco l’inferno”. Il gruppetto resta paralizzato, ma non Jobs, che teneva in mano una bottiglietta d’acqua molto fredda e coperta di condensa. “Lascia che ti aiuti”, disse scherzoso. Così rompendo il ghiaccio che lui stesso aveva creato. Quattro anni dopo, Jobs morì per un tumore al pancreas. La sorella Mona Simpson descrisse così i suoi ultimi momenti: “Prima di partire definitivamente ha guardato sua sorella Patty, poi a lungo i suoi figli, poi la compagna Laurene e poi dietro di loro, sopra le loro spalle. Infine disse: ‘OH WOW. OH WOW. OH WOW’”. Scrive Swisher: “Il consumato performer e il più grande showman della tecnologia era morto con lo stile che gli si addiceva. In termini di addii, ‘just-one-more-perfect-thing’. Come i prodotti Apple, le ultime parole di Jobs sono state al tempo stesso minimali e meravigliose”. —internazionale/esteriwebinfo@adnkronos.com (Web Info)
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