La possibilità di pensare ad un intervento penale sotto il punto di vista della sicurezza per la libertà

Le diverse definizioni di sicurezza possono sollevare contemporaneamente i problemi riguardanti la sua “natura” e “struttura” come bene giuridico, la relazione che essa ha con la libertà e, in ultima analisi, il dubbio sulla legittimità di un intervento penale specificamente concepito per proteggerla. Questa relazione potrebbe essere interpretata in termini di bilanciamento, ma solo risolvendo il dubbio sull’ammissibilità di tale bilanciamento, poiché implica un giudizio vincolato a due aspetti: l’identificazione degli interessi in conflitto (quello tutelato dalla norma contestata e quello lesi dalla condotta incriminata) e la loro valutazione in base alla loro natura (omogenea o eterogenea), presupponendo l’esistenza di un conflitto effettivo. È anche importante considerare che tale ponderazione deve avvenire prima di ogni scelta legislativa e dopo l’applicazione pratica delle norme. La criticità dell’analisi si acuisce nel contesto del terrorismo, dove si osserva un approccio di “emergenza” che tende sempre più a diventare la “normalità”. Questo perché la normativa in questione, concepita per affrontare una situazione come una “bomba a tempo”, finisce invece per integrarsi nel tessuto stesso dell’ordinamento penale. Tale integrazione giustifica l’abbandono della logica del diritto penale minimo e garantista tipico della tradizione liberale, mediante una sospensione ingiustificata e discriminatoria delle garanzie costituzionalmente previste. Questo avviene anche attraverso l’uso degli strumenti legislativi ordinari, come leggi e decreti legge, nonché modifiche dirette al codice penale. In linea generale, la sicurezza può essere interpretata attraverso due dimensioni: una oggettiva e collettiva, e l’altra soggettiva, che si riferisce sia all’individuo sia alla collettività di cui fa parte. La prima dimensione è legata alla società e allo Stato come fondamento e strumento. In questa prospettiva, la sicurezza riflette l’ottica hobbesiana, in cui la ragione per cui le volontà (e di conseguenza le libertà) degli individui si sottomettono è per garantire la pace e, di conseguenza, permettere l’esercizio pacifico delle proprie libertà. Quindi, la sicurezza è sia un valore fondamentale che protegge altri valori, sia uno strumento nelle mani dello Stato. Nel secondo caso, si potrebbe considerare che la sicurezza menzionata si presenti come un’afflizione individuale ogni volta che diventa una preoccupazione personale, poiché ognuno percepisce direttamente i potenziali rischi e pericoli per la propria esistenza e libertà. Ciò che si vuole argomentare è che non esistono due diverse ipotesi di sicurezza, ma piuttosto due modi differenti in cui essa si manifesta, a seconda se viene interpretata soggettivamente come un bene oggettivo con valore politico e basata su accordi, oppure come un rischio in relazione alle minacce sociali concrete percepite. In questo contesto, è evidente che il terrorismo rappresenti una delle principali ragioni dietro il cambiamento nella percezione della sicurezza collettiva, tanto da mettere in discussione la sua natura come bene diffuso e da sollevarla come un vero e proprio interesse personale meritevole di tutela attraverso mezzi legali. Questo è particolarmente vero a causa delle difficoltà nel comprendere il fenomeno terroristico e nel contestualizzarlo in un contesto sociale specifico, a causa della sua vastità, delle modalità di esecuzione incerte e dei diversi tipi di comportamento ad esso associati. In questo contesto, libertà e sicurezza emergono come obiettivi della legislazione e come beni giuridici soggetti alla protezione (o mancanza di protezione) delle norme penali adottate. Quando entrano in conflitto, possono essere valutati concretamente, considerando il contesto dell’urgente necessità della legislazione volta a contrastare il terrorismo, la quale, essendo temporanea, non è legittimata ad annullare completamente i diritti umani. In questo modo, tali questioni potrebbero essere esaminate prima durante il processo legislativo, utilizzando i parametri tradizionali del sistema penale, come la necessità di mezzi alternativi, l’uso estremo di protezione, la proporzionalità dell’intervento rispetto al suo scopo, e l’osservanza del principio del “strettamente necessario” nel limitare i diritti fondamentali. Successivamente, potrebbero essere valutate anche in sede giudiziaria, specialmente riguardo a incriminazioni ampie e preventive, mirate a colpire condotte preparatorie o comportamenti astrattamente pericolosi. La legittimità di tali azioni potrebbe essere sostenuta solo se si ritiene che la ragione che le giustifica (la tutela della sicurezza) debba necessariamente prevalere sulle garanzie fondamentali e sulle libertà individuali. Le garanzie del diritto penale, e di conseguenza quelle del diritto processuale penale, non sono un ostacolo alla protezione della sicurezza e alle nuove sfide che il diritto penale si trova ad affrontare. Si potrebbe argomentare che la sicurezza non solo sia il fine ultimo delle leggi penali (specialmente quelle antiterrorismo), ma anche la ragione sottostante ad esse: il diritto penale avrebbe quindi il merito di coniugare la concezione hobbesiana della sicurezza con quella lockeana.

​Guttae Legis

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