(Adnkronos) – "È stata sicuramente un’esperienza molto intensa dal punto di vista emotivo e psico-fisico perché possiamo solo immaginare le condizioni infernali del carcere in cui era prigioniera. La sua mente avrà bisogno di smaltire, elaborare, dare un senso a questa esperienza così pesante anche dal punto di vista emotivo". Così Isabel Fernandez, psicologa e psicoterapeuta, presidente dell'Associazione italiana di Emdr, Eye movement desensitization and reprocessing, ossia Desensibilizzazione e rielaborazione attraverso i movimenti oculari, all’Adnkronos Salute riflette su quello che attende Cecilia Sala, la giornalista liberata oggi dopo 20 giorni di detenzione nel carcere iraniano di Evin a Teheran. "Adesso lei avrà moltissimi supporti dalla famiglia, dagli amici, anche dalle Istituzioni – continua Fernandez – Tutto questo sarà molto importante, ma non basterà a sentirsi al sicuro perché anche se l’esperienza traumatica è terminata, per la mente non lo è. Ora si deve concedere del tempo per chiudere questo capitolo", meglio se con un aiuto qualificato. Alla prima fase "di eccitazione intensa dal punto di vista emotivo per la liberazione – spiega l’esperta – seguiranno momenti di down", di sconforto. "La cosa importante è avere un aiuto, anche breve, ma mirato, in modo che tutto il vissuto dell’esperienza non resti come un fattore di rischio per il futuro". La giornalista infatti "deve affrontare lo stress post traumatico: si chiude l’esperienza, ma resta lo stress. In questi casi, l’approccio Emdr si è rivelato essere tra i più efficaci, tanto che è raccomandato dalla stessa Organizzazione mondiale della sanità per la gestione dello stress che rimane dopo un trauma". Nel dettaglio, "potrebbe ancora rivivere, per settimane o mesi, delle immagini, degli incubi o provare ansia in presenza di particolari situazioni. Queste sono reazioni normali dopo un'esperienza di questo tipo – chiarisce Fernandez – Nel contesto detentivo avrà vissuto una sensazione di impotenza, di vulnerabilità e di pericolo di vita. Si sarà probabilmente posta la possibilità di non potercela fare. Tutte queste sensazioni rimangono e la mente continua a riproporle. Sarebbe importante che concedesse un po’ di tempo al cervello per rielaborare quanto vissuto, dargli un senso. Con l’aiuto di un professionista potrebbe ridurre i tempi e ottimizzare il percorso. Certo, è un processo che una persona può fare anche da sola – osserva – dipende da quanto è stata intensa la sua sensazione di pericolo, di vulnerabilità, in particolare di pericolo di vita. Più si è detta ‘passerà’, più ha avuto questa sensazione, più è facilitata nel recupero". Nelle situazioni traumatiche, "le persone devono trovare delle risorse – sottolinea la psicoterapeuta – Quando si è in pericolo di vita, è fondamentale pensare alle risorse positive che sono state d’aiuto in precedenti situazioni traumatiche. Tutti abbiamo un dialogo interiore in cui ci diciamo delle cose – rimarca Fernandez – Più siamo catastrofici e in allarme e più peggioriamo la situazione. La cosa migliore, quando si è in pericolo, è parlarsi con calma e trovare le risorse utilizzate in altri momenti o pensare alle persone che ci sono state di supporto. La fede può essere d’aiuto perché dà il senso di avere qualcuno che ci protegge, che ci salva. Bisogna evitare i pensieri catastrofici e cercare di rafforzare le capacità, le risorse positive, le figure di protezione, con determinazione. Questo – conclude – è molto importante" nell’immediato e nel dopo. —salutewebinfo@adnkronos.com (Web Info)
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