(Adnkronos) – “Avere questo murales in un luogo pubblico è un segnale bellissimo di come deve essere tutta la città, per rendere Roma città dei diritti”. Lo ha detto Roberto Gualtieri all’inaugurazione del murale di Michela Murgia nel V Municipio di Roma alla presenza, tra gli altri, di Elly Schlein. “Noi stiamo facendo di tutto per una città amica della comunità lgbtq+ in una battaglia per dare più diritti per tutti. E’ una battaglia per liberare tutta la società e rendere tutti migliori. Noi sentiamo questa responsabilità, con un sorriso a chi fa polemiche per una cultura vecchia”, ha aggiunto il sindaco di Roma. “Celebriamo una donna che merita più di un muro, che ci ha lasciato una importante eredità spirituale, ne dobbiamo fare tesoro per affrontare il futuro”, ha detto Laika, l’artista che ha realizzato il murale e che ha lanciato un appello: “La sinistra deve tornare a essere al fianco dei lavoratori, dei diritti civili veramente, non con passerelle. Questo Paese deve andare avanti nei diritti, evitare che la destra ci trascini in un nuovo Medioevo”. Il murale dedicato a Michela Murgia, "è un'immagine meravigliosa di lei già malata ma nonostante questo ha un bellissimo sorriso. Da subito nei primi colloqui ha voluto sapere tutto della patologia ma ha anche capito che il cancro non era colpa sua ma gli era toccato e per questo andava affrontato nel modo migliore. E' accaduto e fa parte dell'esistenza, è uno dei tanti dolori, cosa che quasi nessuno riesce ad accettare ma lei l'ha fatto. Postando sui social le foto del costo altissimo dei biofarmaci, che prendeva per il suo cancro metastatico, ha dato un valore alle cure gratuite del Ssn. In questo ha difeso il Servizio sanitario nazionale che oggi più che mai ne ha bisogno e lei l'aveva capito", ha detto all'Adnkronos Salute Fabio Calabrò, direttore dell’Oncologia Medica 1 dell'Irccs Regina Elena di Roma, che è stato l'oncologo della scrittrice morta il 10 agosto 2023. "Non sono certo amasse le celebrazione della sua persona, era schiva in questo senso ma protettiva verso chi le stava vicino – ha aggiunto Calabrò che all'epoca dell'incontro con la Murgia lavorava all'ospedale San Camillo – Lei ha però usato la sua visibilità per fare scudo e dare a voce a chi non l'aveva. Michela è arrivata da me dopo il ricovero in pronto soccorso e in un reparto di chirurgia toracica, non mi ha chiamato nessuno per lei. Quando ho letto il documento di ammissione mi sono chiesto se fosse davvero lei o ci fosse una omonimia. Poi mi sono presentato al suo letto e ho avuto davanti uno sguardo dolce e accogliente. Tutto il suo percorso clinico l'ha fatto seguendo le regole come una persona qualsiasi, mettendosi in fila per le visite". Il momento della diagnosi. "Michela fin dall'inizio della malattia ci ha tenuto a dire la verità pubblicamente. Nella fase più avanzata – anche quando ha confessato lo stato avanzato della malattia e la consapevolezza di avere poco tempo da vivere – ha ribadito la sua estraneità a certa retorica che ruota attorno al cancro, ad esempio che non si nomina e si dice 'è morto dopo una lunga malattia'. Non amava il linguaggio bellico che spesso si usa, 'la battaglia contro il tumore'. Ci lascia una eredità straordinaria: non credo di aver conosciuto una persona prontamente intelligente e capace di tradurre in un linguaggio straordinario qualcosa che non conoscesse". Il libro 'Tre ciotole' (Mondadori), si apre con la diagnosi di un tumore incurabile. "Durante il nostro primo incontro Michela mi ha chiesto di sapere esattamente e senza sconti quello che aveva – sottolinea l'oncologo – Un comunicazione netta di una prognosi severissima, aveva bisogno di capire esattamente quale fosse la malattia e mi ha ascoltato con grandissima attenzione. Lo ha raccontato anche nell'intervista nella trasmissione 'Quante storie' condotta da Giorgio Zanchini, ha spiegato che non ci sono colpe per la malattia e che il cancro è una cosa che non viene da fuori, non è un virus, ma è dentro il nostro organismo è il prezzo da pagare per l'evoluzione del genere umano dove possono capitare errori". L'ultima telefonata. "Erano le 6 del mattino – ricorda Calabrò – credo avesse appena finito di dettare il libro sulla gestazione per altri. Ormai non apriva neanche più gli occhi, era stesa sul letto e dettava ai suoi figli adottivi della sua 'queer family'. Non aveva bisogno di tornare indietro, non aveva dubbi o ripensamenti, nella sofferenza era lucidissima. Mi telefona mi dice di lasciarla andare, è un riferimento alla nostra prima comunicazione appena incontrati quando era stata categorica nel dirmi che avrebbe seguito la terapia solo se le avesse lasciato lo spazio e le forze per una vita normale, come è stata nell'ultimo anno di vita con tanti viaggi e lavori, altrimenti non avrebbe fatto nulla. Ecco – conclude – in quell'ultima chiamata lei mi diceva che ora poteva anche andare perché aveva fatto quello che doveva". —cronacawebinfo@adnkronos.com (Web Info)
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