Aids, 4 pazienti su 10 scoprono infezione per caso, al via campagna contro stigma

(Adnkronos) – Il 40% delle persone che vive con Hiv apprende dell’infezione casualmente e ben 2 su 10 rimandano la comunicazione, principalmente per la paura del giudizio e dell’emarginazione. Sono alcuni dei dati dell’indagine realizzata da Elma Research su 500 pazienti presentata oggi a Milano in occasione del lancio di ‘Hiv. Ne parliamo?’, la campagna di sensibilizzazione che ricorda il primo passo per abbattere stigma e pregiudizio, aiutare le persone a vivere meglio e con maggiore serenità. L’iniziativa, promossa in occasione della Giornata mondiale contro l’Aids che si celebra ogni anno il primo dicembre, è sostenuta da Gilead Sciences con il patrocinio di 16 associazioni di pazienti italiane, della Società italiana di malattie infettive e tropicali (Simit) e dell’Italian Conference on Aids and Antiviral Research (Icar).
 Attraverso la voce di chi vive con l’Hiv – spiega una nota – la campagna pone l’attenzione sugli aspetti di vita che possono essere migliorati, per prenderne consapevolezza e iniziare ad affrontarli partendo da una semplice domanda da fare al proprio medico: ne parliamo? Aspetti psicologici, relazioni con gli altri, dialogo con il medico e corretta assunzione della terapia sono gli elementi dell’iniziativa che vuole offrire, attraverso le storie di chi vive con Hiv, degli spunti di riflessione sulla propria condizione e informazioni utili per migliorarla. "Considerato che il 95% delle persone comunica l’infezione ma lo fa in modo molto parziale, spesso escludendo familiari e amici – afferma Gabriella d’Ettorre, del Dipartimento di Sanità pubblica e malattie infettive dell'università Sapienza di Roma – è evidente che c’è ancora una forte componente di stigma e ‘autostigma’ che pesa sulla vita delle persone che scoprono la sieropositività al virus, con un carico che impatta negativamente sulla qualità di vita e sul benessere psicologico. Un dialogo aperto con il proprio medico, ma anche il supporto delle associazioni di pazienti – continua – rappresenta un punto cruciale per affrontare e risolvere queste problematiche. Come cruciale è continuare o, ancora meglio, tornare a parlare di Hiv, perché chi scopre l’infezione non si senta ‘messo da parte’ né si autoescluda sul piano affettivo, sociale o relazionale. Tornare a parlarne, inoltre, è importante per promuovere l’accesso al test volontario, soprattutto in chi ha comportamenti a rischio, in modo da favorire la diagnosi precoce dell’infezione".  Secondo gli ultimi dati pubblicati dal Centro operativo Aids (Coa), invece, in quasi il 60% dei casi l’infezione viene scoperta in fase avanzata, cosa che può compromettere l’efficacia delle terapie che – se assunte precocemente – consentono una buona qualità di vita. "Il contrasto all’Hiv – spiega Andrea Gori del Dipartimento Malattie infettive all'ospedale Sacco, università di Milano e presidente Anlaids Lombardia – può infatti contare su strategie terapeutiche efficaci, in grado di azzerare la carica virale, soprattutto se assunte il più precocemente possibile rispetto al momento dell’infezione".  "L’aderenza alla terapia resta però il punto chiave, sebbene – come emerge dall’indagine – circa il 30% dei pazienti non riesca a rispettarla. Essere aderenti alla terapia vuol dire diminuire drasticamente la probabilità di comparsa di mutazioni del virus che possono provocare resistenze ai farmaci anti-Hiv, ossia una ridotta o assente capacità dell’efficacia della terapia stessa. Non solo. Chi segue le indicazioni terapeutiche – aggiunge Gori – protegge anche gli altri, poiché azzerando la replicazione del virus non trasmette l'infezione, non è più contagioso. Un concetto rivoluzionario e allo stesso tempo molto semplice che si traduce in U=U (Undetectable꞊Untransmittable) ovvero 'mi curo, non infetto'". E' per questo – continua la nota – che il dialogo con lo specialista è fondamentale per favorire la consapevolezza di come l’aderenza alla terapia possa migliorare sostanzialmente la qualità di vita, anche in termini di disturbi di natura psicologica. "Quello della salute mentale e del benessere psicologico più in generale – ricorda Alessandro Lazzaro del Dipartimento di sanità pubblica e Malattie infettive, università Sapienza di Roma – è un aspetto molto importante a cui non sempre viene data la giusta attenzione. Numerose sono le persone con Hiv a rischio depressione o che presentano disturbi come insonnia, ansia, depressione che possono avere un impatto importante sulla qualità di vita. Le cause possono essere diverse: lo stigma sociale, purtroppo ancora fortemente presente, è una delle principali. Ma dietro alcuni di questi disturbi – continua – può esserci una causa biologica, legata agli effetti del virus o della stessa terapia antiretrovirale. In tale contesto, il dialogo medico-paziente ha un ruolo cruciale per prendere consapevolezza e affrontare queste problematiche, non solo dal punto di vista delle scelte terapeutiche, ma anche per indirizzare chi ne ha bisogno verso un percorso integrato di tipo multidisciplinare”. 
La campagna – conclude la nota – non si rivolge solo alle persone che vivono con Hiv, ma intende alimentare il dialogo e rispondere a dubbi e domande della popolazione generale. Un obiettivo che verrà raggiunto grazie anche a una serie di influencer che coinvolgeranno le loro community sensibilizzandole sull’importanza di parlare di Hiv e abbattere le barriere del pregiudizio, dettate dalla non conoscenza e dalla non comprensione. I profili Instagram degli influencer saranno popolati dalle card con i messaggi di campagna che lanciano una challenge molto semplice: ‘ne parliamo?’. Ulteriori informazioni su hivneparliamo.it. —salutewebinfo@adnkronos.com (Web Info)

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