(Adnkronos) – Mai sottovalutare la cosiddetta influenza intestinale: la gastroenterite acuta può lasciare strascichi pesanti, persistenti fino a 5 anni. Può infatti evolvere in sindrome dell'intestino irritabile (Ibs), anche in forma grave. Lo ha scoperto uno studio pubblicato su 'Gut' (gruppo British Medical Journal) da un gruppo di ricercatori dell'università Cattolica del Sacro Cuore-Fondazione Policlinico Gemelli di Roma. Sotto accusa virus come Sars CoV-2 e batteri aggressivi come Campylobacter ed Enterobacteriaceae, responsabili di tante infezioni gastrointestinali estive. La Ibs, in altre parole, potrebbe rappresentare un'ennesima 'eredità' del Covid, o anche una sequela della 'maledizione di Montezuma' o 'diarrea del viaggiatore'. "La sindrome dell'intestino irritabile, un disturbo che coinvolge l'asse intestino-cervello – spiega Giovanni Cammarota, professore ordinario di Gastroenterologia della Cattolica e direttore della Uoc di Gastroenterologia del Gemelli – è caratterizzata da dolori addominali a insorgenza 'capricciosa', gonfiore, stipsi alternata a diarrea. Secondo le stime della Sige (Società italiana di gastroenterologia), affligge il 20-40% della popolazione italiana, con una predilezione per le donne e la fascia d'età compresa tra 20 e i 50 anni". Per alcuni è un disturbo di lieve entità, ma per molti altri è una condizione che impatta pesantemente sul quotidiano e sulla qualità di vita. Le cause non sono né ben definite, né univoche, e questo non aiuta a trovare soluzioni terapeutiche efficaci. Un contributo per colmare questa lacuna arriva dal nuovo lavoro, che ha puntato i riflettori sul coronavirus pandemico e su batteri aggressivi per l'intestino e pro-infiammatori come Proteobacteria ed Enterobacteriaceae. "Dopo aver fatto una ricognizione accurata di tutta la letteratura scientifica sulla comparsa di Ibs in seguito a un episodio di gastroenterite – illustra Gianluca Ianiro, docente di Gastroenterologia della Cattolica, gastroenterologo del Gemelli e autore corrispondente dello studio – abbiamo evidenziato che i sintomi di Ibs compaiono in una persona su 7 dopo un episodio di infezione gastrointestinale. L'analisi dei dati ha consentito anche di appurare che, dopo questo 'innesco', i disturbi permangono per 6-11 mesi in almeno la metà delle persone colpite da una gastroenterite acuta; ma altri studi suggeriscono che la durata dell'Ibs potrebbe protrarsi fino a oltre 5 anni". Non solo. "La presenza di disturbi d'ansia, prima dell'episodio di gastroenterite – sottolinea Serena Porcari, contrattista presso la Uoc di Gastroenterologia del Gemelli e primo autore della ricerca – triplica inoltre il rischio di sviluppare Ibs". "Per quanto riguarda gli agenti infettivi – precisa Porcari – il nostro studio ha evidenziato che la maggior comparsa di Ibs si ha dopo una gastroenterite acuta da Campylobacter (21%); le probabilità di sviluppare Ibs sono 5 volte maggiori dopo infezione da Proteobacteria o da Sars-CoV-2, e 4 volte maggiori dopo infezioni da Enterobacteriaceae". "La fisiopatologia dell'Ibs – commenta Antonio Gasbarrini, coautore del lavoro e preside della Facoltà di Medicina e Chirurgia dell'università Cattolica, ordinario di Medicina interna e direttore della Uoc di Medicina interna e Gastroenterologia del Gemelli – non è ancora sufficientemente nota e nell'immaginario collettivo, ma anche nell'opinione di molti medici, quelli che vanno sotto il nome di Ibs sono disturbi con un'importante componente psicologica e non una malattia di tipo 'organico'. Questo comporta il rischio di sottovalutare e sotto-trattare i pazienti, abbandonandoli ai loro disturbi". "Visto che la gastroenterite è un'evenienza molto comune, i risultati del nostro studio – rimarca Gasbarrini – potrebbero essere rilevanti in un'ottica di salute pubblica e portare i medici a seguire con più attenzione l'evoluzione di questi disturbi in un paziente che abbia presentato un episodio di gastroenterite acuta". —cronacawebinfo@adnkronos.com (Web Info)
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