(Adnkronos) – I pretendenti in corsa, la vendita, spezzatino sì o no?, il processo di decarbonizzazione, la liquidità in cassa, il rilancio produttivo dopo una chiusura d’anno che sarà al minimo storico. Il dossier ex Ilva torna finalmente a Palazzo Chigi e le questioni che le tute blu porteranno al tavolo convocato per il 30 ottobre sono tante, toccano tutti i nervi di una storia ormai ultradecennale. Il bando di gara è stato lanciato dai Commissari straordinari di Acciaierie d’Italia a fine luglio, il 20 settembre si è chiusa la prima fase per raccogliere le manifestazioni di interesse dei potenziali investitori (al momento una quindicina) e ora siamo nel pieno del secondo step: è stata aperta la ‘data-room’ dell’azienda e gli interessati hanno tempo fino al 30 novembre per scandagliarla e, in base a quella, decidere se avanzare o meno una proposta vincolante. E questo è il primo ‘capitolo’ che si aprirà domani nella Sala Verde di Chigi, come spiegano i sindacati di categoria all'AdnKronos. “Vogliamo capire il governo come giudica quelli che si sono presentati in questa prima fase”, dice infatti il leader Uilm, Rocco Palombella, perché se è vero che i big interessati all’intero gruppo sono tre (secondo le indiscrezioni, Metinvest, Vulcan green Steel e Stelco) “non è una buona premessa”. Un punto centrale per tutte le sigle. “Ribadiremo il nostro no ad ogni ipotesi che preveda i siti venduti a pezzi”, evidenzia Palombella, mentre il segretario Fim, Ferdinando Uliano, mette in guardia: "E’ fondamentale la salvaguardia dell’unità dell’Ilva, o si ridurrebbero le prospettive di equilibrio e di redditività del siderurgico". Insomma, sarebbe “il colpo di grazia all’acciaio italiano”, è il riassunto tranchant del coordinatore siderurgia della Fiom, Loris Scarpa. Per ora però lo ‘spezzatino’ non sembra certo essere l’unica possibilità. Da un lato, dovrebbero essere giunte ipotesi per un acquisto ‘in blocco’ del pacchetto AdI, dall’altro non si può escludere lo scenario di una cordata tra offerenti interessati a singole unità produttive. Quale che sia l’esito della gara, per i metalmeccanici – ancora ‘scottati’ dalla gestione Mittal – è essenziale che lo Stato conservi una “presenza rilevante nella compagine azionaria” perché “abbiamo già visto com’è finita cedendo tutto al privato”, chiosa Uliano, ricordando che i Commissari hanno chiesto un’autorizzazione ambientale fino a 8 milioni di tonnellate e che nessuno sarebbe in grado “di garantire lo sforzo economico per quel tonnellaggio” e attuare anche il piano decarbonizzazione. "È inutile raccontarci storie, l’acciaio sta in piedi solo con il capitale pubblico”, aggiunge la Fiom. Il passaggio è delicato e le bocche, a via Veneto, sono cucite. Ma, secondo alcune fonti interpellate dall’AdnKronos, per ora l’obiettivo dell'esecutivo resta quello di vendere tutte le quote, lasciando come ipotesi straordinaria quella di una partecipazione pubblica. Ci sono poi il fronte rilancio produttivo e quello della decarbonizzazione, legati a doppio filo e entrambi a cuore alle sigle sindacali. Nonostante la partenza dell’altoforno 1 i livelli restano bassissimi: la produzione giornaliera viaggia sulle circa 9mila tonnellate al giorno, pari al 'record' negativo di 2 milioni di tonnellate previste a fine anno. Intanto, Adi e Ilva in As hanno siglato con Dri d’Italia un memorandum of understanding per la realizzazione di un impianto di riduzione diretta da 2.5 milioni di ton/anno nello stabilimento di Taranto. Un accordo positivo in ottica green su cui però “vogliamo sapere tempi e modalità”, incalza Palombella.
A questo si somma poi la situazione finanziaria dell’azienda. Da un lato per capire se i finanziamenti ottenuti bastano a garantire la marcia degli impianti e, dall’altro, per sapere di eventuali altre iniezioni, come la richiesta all’americana Morgan Stanley per un prestito di circa 200 milioni (ventilata ma non ancora passata sulla scrivania del Mimit). Infine, il lavoro. La manovra di quest’anno proroga per tutto il 2025 la cassa integrazione straordinaria per le imprese come l’Ilva, che conta 2500 lavoratori in cig, di cui 2200 solo a Taranto (100 a Genova e 175 a Novi). “La prospettiva di un altro anno di cassa non ci fa felici, anzi ci preoccupa”, commenta ancora Palombella. Tuttavia, questa “non è una situazione di normalità ma la conseguenza dell’azione disastrosa di questi anni”. —economiawebinfo@adnkronos.com (Web Info)
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