(Adnkronos) – "Sulla base dei dati pubblicati a novembre 2022, che mostrano la risposta ad oltre sei mesi di distanza dall’abbandono delle tradizionali sigarette, possiamo vedere come chi usa le sigarette elettroniche per smettere di fumare ha una probabilità del 60% più alta di abbandonare definitivamente il fumo rispetto a chi si sottopone alla terapia sostitutiva con nicotina (Nrt), ovvero ai trattamenti basati sull’uso di prodotti con nicotina alternativi alle sigarette". Così Peter Hajek, direttore dell’unità di ricerca sulla salute e lo stile di vita dell’Istituto di salute pubblica Wolfstor presso l’università Queen Mary di Londra, in occasione dell’edizione 2023 dell' 'E-sigarette summit Uk – Science, Regulation and Public Health', convegno nato con l’obiettivo di facilitare il dialogo e l’analisi ponderata delle evidenze scientifiche che riguardano l’uso delle sigarette elettroniche (e-cig) come alternativa alle tradizionali sigarette e come possibile strumento utile a smettere di fumare. Nella presentazione ‘Svapare è un aiuto sicuro ed efficace per smettere di fumare? L’analisi Cochrane sulle sigarette elettroniche per la cessazione del fumo’, Hajek osserva che “gli effetti indesiderati più comunemente riportati da chi utilizza le sigarette elettroniche contenenti nicotina sono: irritazione della gola o della bocca, mal di testa, tosse e nausea che si riducono nel tempo. Non molto diversi – aggiunge – da quelli lamentati da chi usa le terapie sostitutive con nicotina. In conclusione, non ci sono evidenze chiare di danno derivante dall’uso delle sigarette elettroniche ma bisogna considerare che gli studi inclusi nella Cochrane review finora hanno un follow-up di massimo due anni”. I dati aggiornati ad ottobre 2023 dell’analisi Cochrane devono ancora essere pubblicati “ma si può dire – sottolinea Hajek – che le conclusioni rimangono invariate. Nonostante le evidenze però, in questi ultimi anni si è diffusa tra la popolazione generale e tra gli stessi fumatori l’idea che svapare sia rischioso tanto quanto il fumo, se non addirittura di più. Questa convinzione è figlia anche della cattiva informazione, come nel ‘caso Evali’. I clinici possono rassicurare i fumatori di sigarette tradizionali che vogliono smettere di fumare, ma cambiare la percezione generale creatasi nell’ultimo periodo resta una sfida”. All’incontro è intervenuto anche Clive Bates, direttore di Counterfactual Consulting Ltd, che si è focalizzato sull’importanza di puntare sulla corretta informazione per i fumatori adulti. “Se si vuole puntare alla fine delle morti e delle malattie legate al fumo – afferma – ci si deve concentrare innanzitutto sui fumatori adulti, che in Gran Bretagna sono 16 volte più numerosi rispetto ai fumatori giovani. E’ infatti la popolazione adulta che fuma le tradizionali sigarette a rappresentare un problema di salute pubblica”. Ciò nonostante “la discussione sul tema della riduzione del danno – continua Bates – è spesso incentrata sulla popolazione più giovane che, come mostrano i dati americani, nella maggior parte dei casi svapa e non ha mai fumato le tradizionali sigarette. Mirare alla fine della combustione non significa per forza puntare alla fine del tabacco o della nicotina. Se infatti – chiarisce – si sposta la discussione sulla nicotina bisogna capire che, per le persone, la richiesta di nicotina è molto più importante del modo attraverso cui questa viene assunta. E la richiesta di nicotina può essere spiegata dal fatto che questa sostanza ha degli effetti positivi su chi la assume: aiuta ad esempio a controllare l’ansia e lo stress e riduce l’appetito ‘favorendo’ il controllo del peso. Ha inoltre un’azione antinfiammatoria e neuroprotettiva. Caffeina, alcol e altre sostanze psicoattive – sintetizza Bates – sono considerate innocue e accettate. Lo stesso ragionamento potrebbe valere per la nicotina. E’ importante sottolineare che una falsa o alterata percezione del rischio conduce a cattive politiche regolatorie”. Anche Tikki Pang, ex direttore dell’area Research, Policy & Cooperation dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), intervenendo nello stesso panel di Bates, ha sottolineato che nel Sudest asiatico “c’è una forte opposizione alla riduzione del danno da tabacco e le politiche regolatorie sono inconsistenti e sproporzionate rispetto al rischio”. Come ha evidenziato Pang, nella regione risiedono “127 milioni di fumatori”, praticamente il 10% tutti i fumatori a livello mondiale, “1,25 miliardi” di persone . “In Myanmar e in Vietnam – illustra – i prodotti sostitutivi alle sigarette per la riduzione del danno da tabacco sono ammessi. In Indonesia, in Malesia e nelle Filippine sono ammessi ma con alcune restrizioni dettate dalle politiche regolatorie mentre in Thailandia, Cambogia, Laos, Singapore e Brunei sono banditi”. Secondo il professore indonesiano “l’approccio dell’Oma alla riduzione del danno da tabacco è ostile e questo atteggiamento influisce anche sulle posizioni dei Paesi del Sudest asiatico. In assenza di leader e policy maker capaci e preparati – riflette – questi Stati hanno scelto di adottare la stessa linea dell’Oms, senza considerare altre evidenze. In conclusione, credo che ci siano punti di vista non allineati tra le comunità che promuovono la riduzione del danno da tabacco e quelle che regolano il tabacco – sintetizza Pang – Le prime hanno come obiettivo la riduzione delle malattie legate al fumo mentre le seconde vogliono società libere dalla nicotina. Credo che Paesi come Regno Unito, Giappone e Nuova Zelanda, le cui politiche sui prodotti alternativi alle sigarette tradizionali ritengo siano invidiabili, debbano spingere affinché l’Oms cambi la propria posizione sulla riduzione del danno da tabacco e penso, inoltre, che nei Paesi del Sudest asiatico si debba promuovere la ricerca scientifica locale di qualità – conclude – che offra evidenze su questi temi chiave”. —salutewebinfo@adnkronos.com (Web Info)
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