(Adnkronos) – Ci vuole un impegno, un commitment, che sia duraturo, coerente e forte per cambiare i pregiudizi che stanno dietro al gender gap sul lavoro. E occorre la consapevolezza che la presenza femminile in azienda e nei ruoli apicali è una ricchezza. Infine, ci vuole pazienza. Perché tutto parte dai retaggi culturali che ancora ci portiamo dietro, che non si trasformano da un giorno all’altro. Ma qualcosa si sta muovendo. Di gender gap e discriminazioni abbiamo parlato con Federica Minozzi, ceo di Iris Ceramica Group, azienda italiana con base a Fiorano Modenese, leader nel settore delle ceramiche e dunque in un settore di ‘manifattura pesante’, storicamente appannaggio maschile. Con Minozzi abbiamo iniziato dal punto della situazione delle donne nel mondo del lavoro, in particolare nelle posizioni apicali e in settori tradizionalmente maschili come quello in cui opera la sua azienda.
Lavorare su pregiudizi e retaggi storici
“Sicuramente la situazione è destinata a migliorare – spiega Minozzi – però al momento la vedo ancora abbastanza complessa. La ricerca ‘Women Count 2022 – The Pipeline’ osserva che l’inserimento nel mondo del lavoro delle donne è maggiore dove c’è già una forte presenza femminile. Nei mondi più pesanti da un punto di vista produttivo, di cui l’industria ceramica chiaramente fa parte, l’inserimento di nuove donne è al di sotto del 20%. E’ una situazione che in qualche modo soffre ancora di un sistema culturale di pregiudizi per certi aspetti abbastanza importanti, che si può cambiare solo lavorando profondamente sulla cultura e su questi bias”. Pregiudizi e bias legati a retaggi storici, continua la ceo di Iris Ceramica Group: “Nonostante mio padre fosse anche molto aperto a questo gender gap, fu il primo nell’industria ceramica a nominare una donna manager negli anni Settanta e questa signora, tra l’altro, ha avuto anche tre figli, si trattava però di eccezioni e soprattutto questa signora lavorava nella parte amministrativa”. “Secondo me – spiega – soprattutto in certi ruoli, tanto più all’interno delle fabbriche, è difficile trovare uno spazio per inserire delle donne a livello apicale. Noi quindi le abbiamo inserite tanto a livello degli uffici marketing e comunicazione, però c’è una parte più industriale dove per una serie di vari motivi, anche perché si ritiene magari un lavoro duro fisicamente, le donne hanno ancora meno spazio”. Ma il sistema produttivo sta cambiando molto, si sta automatizzando in modo rapidissimo, come sottolinea la manager: “Per esempio due anni fa in America, nel cuore del conservatore Tennessee, ho dato la responsabilità di una fabbrica pesante a una donna, un’ingegnere chimico, e sta performando estremamente bene; quindi, io credo che ci sia spazio oggi, anche in quei sistemi produttivi nuovi che sono più legati al lavoro delle macchine e a delle competenze anche tecniche”. Precisa la ceo: “Non trovo più attuale neanche il concetto che ci sono poche donne laureate o con conoscenze tecniche importanti, è chiaro che oggi sono spesso anche persone più giovani; quindi, ci possono essere due pregiudizi che intervengono contemporaneamente: l’allergia alla donna e l’allergia alla gioventù”.
‘Allergia alla donna e allergia alla gioventù’
È un problema tipicamente italiano, evidenzia Minozzi: “All’estero e tanto più in America la gioventù è vista come un plus, purché uno sia capace chiaramente e abbia certe doti. In Italia spesso c’è questo preconcetto che le persone giovani sono inesperte; questo credo che sia anche legato proprio a un fattore culturale perché noi diamo poche opportunità ai giovani di fare carriera rapidamente e quindi è oggettivamente vero, poiché i giovani non hanno spesso un tipo di esperienza a livello di ruoli di leadership che consente di sentirsi sicuri nell’affrontare certe sfide”. Insomma si tratta di un circolo vizioso, che riguarda anche gli uomini ma con una differenza. “La Mckinsey pubblica ogni anno un report che si chiama ‘Women in the Workplace’ che ha evidenziato che, mentre le donne vengono inserite nelle aziende per ciò che hanno già realizzato nel passato, gli uomini vengono inseriti con una visione delle loro potenzialità future, e questo è curioso perché nella donna l’inesperienza viene vissuta più negativamente che in un uomo e anche questo credo che sia un fattore culturale, perché non c’è un motivo logico oggettivo, è proprio un bias cognitivo. Secondo me anche su questi aspetti bisogna lavorare molto da un punto di vista culturale”. Competenza, gioventù, risultati e potenzialità. Questi potrebbero essere considerabili come punti di resistenza che le donne incontrano. Ma nello specifico come donna e come professionista quali punti di esistenza ha dovuto affrontare Minozzi, essendo diventata molto giovane ceo di Iris ceramica Group Italia? Lo chiarisce lei stessa: “Questa resistenza, questi pregiudizi li ho vissuti molto sulla mia pelle quando sono entrata in azienda. Ai tempi con grande entusiasmo sono entrata direttamente in azienda dopo gli studi, quindi totalmente inesperta. Tra l’altro in quel periodo, nel ’97, c’era ancora meno presenza femminile e tanto meno ad alto livello. Quindi io mi rendevo conto che le persone a lavoro, soprattutto i dirigenti, mi vedevano praticamente come la figlia del proprietario che in qualche modo ‘va sopportata’”.
La possibilità per le donne di dimostrare il proprio valore
E qui Minozzi tocca un punto importante: nonostante l’ulteriore pregiudizio dell’essere la figlia del proprietario e nonostante il padre Romano, fondatore nel 1961 dell’azienda, le abbia sempre chiesto molto più di quello che pretendeva dai manager uomini, lei ha avuto almeno “la possibilità di mostrare quello che valevo, mentre magari molte altre donne nel mio settore della ceramica a parità di condizioni, a parità di capacità possono non aver avuto questa opportunità di essere viste in modo oggettivo per i loro risultati”. “Questo, secondo me, è uno spreco perché diverse ricerche hanno dimostrato che le aziende con più presenza femminile nei ruoli di leadership hanno fino a un 50% di probabilità in più di performare con profitti al di sopra della media del proprio settore e questa probabilità aumenta in modo direttamente proporzionale alla quantità di presenza femminile nei ruoli direttivi”, sottolinea la manager. In sostanza, è una ricchezza per l’azienda avere donne in posizioni apicali: “I pregiudizi per assurdo contrastano completamente con le realtà date dai numeri oggettivi e anche questo è curioso, perché gli imprenditori dovrebbero guardare i numeri”, rimarca.
Leadership maschile e femminile
E i numeri si spiegano anche col differente approccio nel modo di esercitare il potere tra uomini e donne. “Le donne – afferma la manager – hanno più propensione a creare ambienti di lavoro condivisibili, più aperti al confronto, al dialogo onesto e alle opinioni altrui. E hanno anche maggiore propensione a prendersi cura dell’altro, quindi a occuparsi magari delle persone che possono essere in difficoltà con il carico di lavoro. Le donne nei team tendono a svolgere anche il lavoro del collega pur senza prendersene i meriti se in difficoltà, e questo porta poi a raggiungere i risultati in tempi più rapidi e in modo più efficace”. “Credo da una mia riflessione personale che noi donne in qualche modo siamo geneticamente ancora predisposte per prenderci cura, per essere empatiche banalmente perché ancora geneticamente abbiamo l’istinto di allevare la prole e quindi abbiamo uno stile di leadership più empatico e meno autoritario. Questo credo che in qualche modo favorisca il lavoro di squadra”, continua Minozzi sottolineando come nel mondo di oggi, “che ha un livello di complessità sempre crescente in modo anche rapido, il l lavoro di squadra sia quello che fa la differenza per raggiungere dei risultati, perché è una persona da sola può anche essere un genio, ma difficilmente ha tutte le competenze necessarie per affrontare le sfide” attuali. Nelle ‘vecchie generazioni’ la manager vede “ancora ancora un approccio mediamente più autoritario, quello che io chiamo un po’ il ‘maschioalfismo’”, ma “sicuramente la generazione Z è inclusiva e più etica a livello valoriale, quindi nei giovani vedo maggiore apertura anche da parte degli uomini verso il confronto, verso la diversity in generale, sia essa di genere, di colore o di provenienza”.
Fondamentale il commitment dell’azienda
Come si porta tutto ciò in azienda? Intanto per cambiare la cultura Iris Ceramica Group ha promosso oltre 4000 ore di formazione extra in azienda a livello annuale e ha creato un sistema più flessibile a livello sia di marketing sia di orari di lavoro. Una necessità, quella di conciliare famiglia e lavoro, sentita soprattutto dalle donne, sulle cui spalle ricade ancora quasi la totalità della cura della famiglia e che non a caso è uno dei fattori che alimenta il gender gap. Allo stesso tempo l’azienda ha creato “un ambiente molto attento anche al rispetto delle donne, quindi il sistema di whistleblowing per la segnalazione di fenomeni di bullismo, di mancanza di rispetto, e una cultura dove si è spiegato agli uomini che anche la battuta che sembra simpatica o un complimento potrebbero non essere percepiti come tali, ma come un’invasione della propria intimità o della propria libertà di scelta, anche solo banalmente su come vestirsi, pettinarsi o truccarsi”. “Vale sempre la pena fare formazione e spiegare perché: tante volte ho notato che alcuni uomini non si rendono proprio conto, sono davvero in buona fede convinti che certe cose facciano piacere alle donne e quando si spiega che non è così, dopo un primo momento magari di incredulità, se sono aperti – chiaro che ci vuole una certa intelligenza anche empatica nei confronti dell’altro – capiscono”, afferma Minozzi. Ovviamente ci possono essere anche persone resistenti ma qui deve intervenire una decisione forte dell’azienda, che deve agire in base ai propri valori e stabilire “su che manager vuole puntare” e su quali no, e questi sono messaggi molto chiari, perché, conclude Minozzi, “il commitment dell’azienda è fondamentale per cambiare la cultura”. —lavorowebinfo@adnkronos.com (Web Info)
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