(Adnkronos) –
"Un anno tosto", in cui delle sue vicende personali "si è parlato senza pietà". A sentenziarlo è lei, Giorgia Meloni, prima donna alla guida di Palazzo Chigi. Taglia il nastro del 2024 lasciandosi alle spalle un anno di luci e ombre, un anno complicato e non solo politicamente: a ottobre la fine del rapporto con il compagno Andrea Giambruno, liquidato con un post su Facebook dopo gli imbarazzanti fuorionda finiti in pasto a 'Striscia la notizia', tra veleni e sospetti. Da tenace 'underdog' -il copyright è suo- Meloni è passata in 10 anni dal 2% dei consensi al 26% dei voti, un traguardo tagliato poco più di un anno fa, il 25 settembre 2022. Un risultato messo a segno 'cannibalizzando' anche il bacino elettorale degli alleati, e che l'ha condotta al timone di un governo nato da una coalizione rodata, ma non per questo meno travagliata. La dice lunga la gestazione che ne ha portato alla nascita. La formazione del governo avviene infatti in tempi record, meno di un mese, ma non per questo appare meno difficoltosa. Il solito braccio di ferro tra le forze di maggioranza per la ripartizione delle 'poltrone' viene terremotato da un audio 'rubato' durante l'assemblea di Silvio Berlusconi con i gruppi di Forza Italia: la lettura e il racconto del leader azzurro della crisi internazionale – dal riavvicinamento a Vladimir Putin al giudizio sul presidente ucraino fino all'analisi sull'origine del conflitto tra Mosca e Kiev – minano la fase embrionale del governo, fino a metterne a rischio la stessa nascita. Meloni mantiene il sangue freddo e lancia l'aut aut: "Atlantisti o l'esecutivo non vedrà la luce", mette in chiaro. Una linea a cui terrà fede in questo primo anno, senza tentennamenti né sbavature. La rotta tracciata da Meloni passa infatti dal sostegno convinto all'Ucraina, -dove si recherà a febbraio salendo sullo stesso treno che un anno prima aveva condotto a Kiev Mario Draghi assieme a Emmanuel Macron e Olaf Scholz- al rapporto confidenziale con Joe Biden e solido con Ursula Von der Leyen. Perché il primo obiettivo della premier – che non a caso sceglie Bruxelles per la sua prima missione all'estero, un chiaro messaggio di rassicurazione rivolto a chi tacciava il governo di anti-europeismo – è accreditarsi all'estero, allontanando da sé l'immagine di leader post-fascista pronta a remare contro l'Europa. Più complesso il rapporto con il presidente francese Macron, con cui entra in rotta di collisione per l'emergenza migranti, stesso motivo di scontro, qualche mese più avanti, con la Germania di Scholz. Il cavallo di battaglia della sua campagna elettorale è infatti ormai diventata la spina nel fianco del governo: "i risultati non sono quelli che speravamo di vedere", ha ammesso la stessa premier più volte -l'ultima giocando in casa, alla kermesse di Atreju- ma senza mai abbandonare la convinzione di "venirne a capo" bypassando "scorciatoie". Anche perché Meloni punta ad arrivare col suo governo a fine legislatura: "Il bilancio su di me? Solo tra 5 anni", ama ripetere, ricordando che quella a Palazzo Chigi è una "maratona e non una sfida da velocisti". In questa maratona, l'emergenza migranti è per Meloni una partita durissima. Il momento più difficile del suo 2023 a Palazzo Chigi risale, con ogni probabilità, al febbraio scorso, quando un caicco partito dalla Turchia e carico di almeno 180 migranti affonda a poche decine di metri dalla costa di Steccato di Cutro. Si conteranno 94 morti, di cui 35 minori. La tragedia segna il Paese e infiamma le polemiche -la premier e il ministro Piantedosi nel mirino- la conferenza stampa tenuta a marzo per annunciare una nuova stretta sui "trafficanti di vite umane" si trasforma in una Caporetto mediatica. La premier non demorde, continua a tessere la sua tela per arginare un'ondata di sbarchi senza precedenti. Percorre la strada dissestata di un Memorandum con la Tunisia, volando dal presidente Kais Saied con il premier olandese Mark Rutte e la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen. Porta la questione migranti e l'emergenza italiana -con i riflettori puntati sull'isola di Lampedusa- anche sul tavolo dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite, invitando l'Onu a "non voltarsi dall'altra parte", 'chiamandola' alla "guerra globale e senza sconti ai trafficanti di esseri umani". Nella strategia di lungo periodo che Meloni sta tracciando, assume un ruolo centrale il Piano Mattei per l'Africa, con cui lavora a rinsaldare i rapporti col Sud del mondo, cercando di arginare il fenomeno migratorio con un approccio improntato alla cooperazione e "non predatorio". Un cammino, sulla rotta per l'Africa, che richiede tempo e pazienza, mentre il partito del suo principale alleato, Matteo Salvini, picchia duro sul tema, ricordando i tempi al Viminale del leader della Lega e strizzando l'occhio all'elettorato di Fdi. Ma non è questa l'unica incognita che grava sul futuro della premier, che si lascia alle spalle un 2023 complesso, dove tuttavia mette a segno un risultato importante: la rinegoziazione del Pnrr, giudicata dai più una mission impossible. L'anno di chiude con l'incasso della terza rata e il disco verde della Commissione europea sulla quarta. Più i 52 target messi a segno per la V, che verrà richiesta entro fine anno. Attuare un restyling del Pnrr "non era impossibile, ma la verità è che 'impossibile' – si fregia la premier del risultato– è la parola che di solito usa chi non ha coraggio, perché chi ha coraggio sa anche che le cose, spesso, possono essere possibili se sono serie". Il 2023 di Meloni è poi segnato dalla morte di Silvio Berlusconi -nel giugno scorso- e un'estate accompagnata dai timori sulla sopravvivenza a medio lungo termine di Forza Italia, orfana del suo fondatore e leader indiscusso. L'estate si accompagna anche a vicende giudiziarie scivolose che vedono coinvolti alcuni esponenti della sua maggioranza: dopo il caso Delmastro-Donzelli che, a gennaio, aveva visto salire sulle barricate le opposizioni, a giugno scoppia la vicenda Santanché, con la ministra del Turismo sotto accusa per la gestione di Visibilia e Ki gruop spa. Una manciata di giorni dopo un altro caso scuote l'opinione pubblica: il figlio del presidente del Senato, Leonardo Apache La Russa, viene denunciato per stupro da una ragazza di 22 anni. Negli stessi giorni, arriva la notizia dell'imputazione coatta per il sottosegretario alla Giustizia Andrea Delmastro, 'reo' di aver passato le carte degli scambi tra i mafiosi e l’anarchico Andrea Cospito all’onorevole, nonché amico e coinquilino in stanza a Roma, Giovanni Donzelli, che aveva usato le rivelazioni in Aula per colpire il Pd. E' in questi giorni che si profila lo scontro tra governo e magistratura. Perché Palazzo Chigi decide di reagire e lo fa a muso duro. Fonti anonime del governo -su cui qualche settimana dopo la premier, incalzata dai cronisti in conferenza stampa a Bruxelles, metterà il cappello- accusano parte della magistratura di voler interferire nella campagna elettorale per le europee 2024, agendo come una costola dell'opposizione. Sulla stessa onda l'accusa mossa quattro mesi più avanti dal ministro della Difesa Guido Crosetto, finita con un confronto e un chiarimento, oltre che in Parlamento, anche in Procura. A luglio Meloni stoppa la proposta sul salario minimo, caldeggiata dal fronte unito dell'opposizione -Iv esclusa- vola a Washington per la sua prima visita alla Casa Bianca: il feeling con Biden è palpabile, così come lo è l'interesse nei confronti della premier italiana della stampa americana, che polemizza per la mancata conferenza stampa aperta anche ai media statunitensi. Settembre è il mese del dramma di Caivano, con le violenze perpetrate ai danni di due bambine di 10 e 12 anni da un branco di adolescenti. Meloni adotta la linea dura, ergendo il comune nell'hinterland napoletano a futuro modello per le periferie difficili di tutta Italia: "non ammetteremo zone franche", rimarca varando un decreto che prende il nome proprio da Caivano, un provvedimento finalizzato a contrastare il disagio giovanile, la povertà educativa e la criminalità minorile, introducendo contestualmente ulteriori norme per favorire lo sviluppo economico e sociale delle zone disagiate e per ridefinire alcune misure giudiziarie per i minorenni, in previsione di specifici percorsi dissuasori e rieducativi. Ma settembre è anche il mese dei centri di accoglienza in emergenza, strutture prese d'assalto dai disperati approdati sulle nostre coste via mare. Le immagini delle condizioni sanitarie precarie a cui sono costretti i migranti in Italia rimbalzano sui tg, Meloni vola a Lampedusa portando con sé la presidente Von der Leyen e giocando di sponda con l'Europa. A ottobre si apre un altro fronte di guerra, con l'attacco di Hamas a Israele. La condanna della presidente del Consiglio è ferma, al fianco di Israele con la bussola di due popoli e due Stati. Il 18 ottobre, di fronte a un accresciuto rischio terroristico, il governo sospende la Convenzione di Schengen sul confine con la Slovenia. Il 21 ottobre, mentre i riflettori sono puntati sulla fine del rapporto con Giambruno, Meloni sorprende tutti e vola a Il Cairo, per partecipare al 'Vertice per la pace' e incontrare, a margine dei lavori del summit, il Presidente palestinese Mahmūd Abbās e il Presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi. Nella stessa giornata, la premier vola a Tel Aviv per incontrare e portare la solidarietà dell'Italia al primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu. In tutto questo a Roma si 'battaglia' sulla manovra, una legge di bilancio attenta ai conti pubblici e che la premier ha voluto blindare non lasciando spazio a emendamenti della maggioranza, salvo correggere il tiro in corsa per correggere i tagli inizialmente previsti per le pensioni di vecchiaia di medici, dipendenti di enti locali, maestri e ufficiali giudiziari. Novembre è un altro mese estremamente intenso, al via nel segno dello scherzo telefonico di un duo comico russo che mette in profondo imbarazzo Palazzo Chigi. Spacciandosi per un politico di alto rango di un Paese africano, Vovan e Lexus beffano le segreterie e lo staff della presidente del Consiglio, aprendo la strada al sospetto di un tentativo del Cremlino di indebolire il governo italiano. La telefonata fake fa tremare Palazzo Chigi, a farne le spese il consigliere diplomatico Francesco Talò, costretto a rassegnare le dimissioni. Qualche giorno più avanti, Meloni incontra a Palazzo Chigi il premier albanese Edi Rama e a sorpresa -nello stupore di Roma quanto di Tirana- annuncia un accordo sui migranti. Il Memorandum, preso di mira dalle opposizioni, prevede che l’Albania ospiti nel proprio territorio due centri italiani per la gestione dei migranti. In base agli accordi, l’Italia si farebbe carico di tutti i costi legati alla costruzione dei centri, al trasporto e alla sistemazione dei migranti, pagando anche eventuali spese mediche. Le autorità italiane dovrebbero essere responsabili dell’interno delle strutture, mentre le autorità albanesi della sicurezza all’esterno dei centri e durante il trasferimento dei migranti. Ma novembre è anche il mese del via libera alla riforma del premierato, "la madre di tutte le riforme" per la premier. Che rinuncia all'idea iniziale del 'presidenzialismo', cara al suo partito, per cercare la quadra con le altre forze di maggioranza e la sponda delle opposizioni. Che però -dal Pd al M5S, fatta eccezione per Iv che apre uno spiraglio -stroncano il ddl Casellati senza appello, "decideranno gli italiani", si dice convinta Meloni 'vedendo' già il referendum confermativo all'orizzonte ma mettendo le mani avanti: "non farò la fine di Renzi, non è un referendum su di me", dice a chi già vede una caduta rovinosa sulle riforme. A dicembre arriva l'addio dell'Italia alla Via della Seta. Tra i temi caldi della campagna elettorale di Meloni per le politiche, la premier tiene fede alla promessa di mettere fine alla presenza di Roma al Belt and Road Initiative, un'adesione voluta da quel governo Conte 1 nato da un improbabile matrimonio tra M5S e Lega. E mentre a Bruxelles arriva l'accordo sul nuovo Patto di stabilità – per la premier un "compromesso di buonsenso" per l'"Italia migliorativo rispetto al passato"- la maggioranza si spacca sulla ratifica del Mes, da sempre visto da col fumo negli occhi da Fdi e Lega. La Camera dice no alla riforma del Meccanismo europeo di stabilità, nei mesi scorsi usato da Roma anche come materia di scambio per negoziare condizioni più vantaggiose sulla nuova governance economica dell'Unione europea in una partita a poker dove calare le carte giuste è un'impresa complessa anche per il giocatore più smaliziato. Tanto più che la battaglia sul Mes è materiale altamente infiammabile, combustibile dello scontro con le opposizioni. Al Senato, alla vigilia dell'ultimo Consiglio europeo, la presidente del Consiglio è arrivata a sbandierare un fax del gennaio 2021, firmato dall'allora ministro degli Affari esteri Luigi Di Maio, accusando il governo Conte di aver agito col "favore delle tenebre" dando il disco verde al Mes. Parole, le sue, che hanno portato il leader del M5S a chiedere al presidente della Camera Lorenzo Fontana l'istituzione di un Giurì d'onore che faccia luce "sulle menzogne di Meloni", l'accusa di Conte. Sul Mes, con lo stop della Camera alla ratifica, di fatto la premier ha tenuto fede alla linea 'barricadera'. "Una dimostrazione di coerenza", esulta Fdi, da sfoderare anche nella campagna elettorale per le europee, ormai dietro l'angolo. Perché in fondo è sempre più complicato, per Meloni, restare fedele a quell'immagine di underdog che le ha permesso di rovesciare i pronostici, conquistare l'elettorato e tagliare il traguardo, in barba a chi la dava perdente ai nastri di partenza. Dopo quattordici mesi a Palazzo Chigi è evidente che questa è la sfida più grande che l'attende. —politicawebinfo@adnkronos.com (Web Info)
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