Viaggio alle sorgenti del mito con “Edipo Re / Una favola nera” del Teatro dell’Elfo, uno spettacolo di Ferdinando Bruni e Francesco Frongia ispirato alla tragedia di Sofocle e denso di rimandi e citazioni da testi antichi e contemporanei, in cartellone – in prima regionale – da mercoledì 14 a domenica 18 febbraio al Teatro Massimo di Cagliari (tutti i giorni da mercoledì a venerdì alle 20.30, sabato alle 19.30 e domenica alle 19, venerdì doppia recita con la pomeridiana alle 16.30 – turno P) e martedì 20 febbraio alle 21 al Teatro Comunale di Sassari per la Stagione 2023-2024 de La Grande Prosa firmata CeDAC Sardegna.
Sotti i riflettori lo stesso Ferdinando Bruni accanto a tre giovani e talentuosi attori – Edoardo Barbone, Mauro Lamantia e Vincenzo Grassi – per una intrigante rilettura della storia di Edipo, diventato sovrano di Tebe e sposo di Giocasta, vedova di Laio, dopo aver risolto l’indovinello della Sfinge, il quale, nel tentativo di comprendere le cause della peste che ha colpito la città, scopre le sue vere origini e le sue stesse colpe di parricida involontario e figlio e marito incestuoso.
In scena l’antico dramma, con una suggestiva partitura sonora e gli affascinanti e evocativi costumi inventati da Antonio Marras, veri e propri abiti-sculture per un onirico e poetico racconto per quadri: quasi «una favola, con tanto di principe/bambino abbandonato sui monti da un pastore che aveva ricevuto da due genitori snaturati l’ordine di farlo morire, con l’uccisione di un mostro da parte del bambino, diventato nel frattempo impavido cavaliere, con il premio di una bella regina in sposa e di una corona di re» – come sottolineano Ferdinando Bruni e Francesco Frongia –. «Una fiaba nera, intendiamoci, una macchina infernale (come la chiama Cocteau), un meccanismo inarrestabile in cui ogni verso, ogni parola si fanno irti e frementi di dolorosa ironia e ambiguità… Edipo vive in una perenne contraddizione causata da quello che sa, ma soprattutto da quello che non sa di sapere e questa trappola alla fine scatta su di lui e lo conduce proprio nel posto da cui sarebbe voluto scappare. La tragedia dà voce ai complessi rapporti che intercorrono fra libertà e necessità… e rappresenta per noi, creature del ventunesimo secolo, una sfida che ci mette di fronte a tutto quello che non riusciamo a controllare con le armi della ragione, grande mito della modernità…».
Una mise en scène immaginifica per una moderna rilettura della storia di Edipo, il “figlio della fortuna” diventato sovrano di Tebe e sposo della regina Giocasta dopo aver risolto l’enigma della Sfinge, la creatura mostruosa che pretendeva un tributo di sangue dalla città, ma destinato a scoprirsi reo a sua volta di terribili colpe, tanto da divenire causa di una nuova terribile peste per aver, suo malgrado, adempiuto alla predizione di un oracolo e quindi vittima del fato oltre che dei capricci e della crudeltà degli dèi.
Sotto i riflettori accanto a Ferdinando Bruni, che firma insieme con Francesco Frongia drammaturgia e regia, tre giovani e talentuosi attori come Edoardo Barbone, Mauro Lamantia e Vincenzo Grassi (nel ruolo di Edipo, al posto di Valentino Mannias) incarnano i vari personaggi di un dramma che indaga sulla condizione umana, sulla fragilità e la fugacità dell’esistenza e sull’impossibilità di sconfiggere le avversità o mutare la propria sorte, così come sulla cecità dello sguardo di chi non sa o non vuole vedere in faccia la verità. Tra le figure emblematiche dell’antica tragedia, l’indovino Tiresia, colui che conosce il significato degli oracoli, è capace di predire il futuro, ma esita a rivelare al re l’origine del morbo da cui è infestata la città, cerca anzi di dissuaderlo e distoglierlo da un’indagine che porterà alla catastrofe, suscitando il sospetto di Edipo, ignaro di essere il fulcro di una vicenda inquietante, le cui radici risalgono a un atto di violenza compiuto da Laio in un momento di ebbrezza e punito con una tremenda maledizione che ricade sull’intera stirpe, attraverso le generazioni, in una spirale di dolore e di sangue.
Nell’“Edipo Re” di Sofocle è fortemente presente l’ironia tragica, per cui l’eroe (o l’eroina), nella persuasione di fare il bene, finiscono con il precipitare in un baratro sempre più profondo, trascinando spesso con sé i propri cari e quell’ignoranza dei fatti diventa cagione di rovina e distruzione, insieme al conflitto spesso irrisolvibile tra due opposte ragioni. Nell’antica Grecia, il teatro diventa luogo della rappresentazione di questioni cruciali per la comunità e fonte di ispirazione per una riflessione su temi importanti attraverso figure emblematiche, spesso veri e propri archetipi dell’immaginario che ricorrono nella letteratura, ma anche nella filosofia e perfino nella psicanalisi, come accade per questo immortale capolavoro della cultura occidentale.
“Edipo Re / Una favola nera” riprende la trama del dramma sofocleo ma si arricchisce di ulteriori suggestioni tratte dalle opere di altri autori, in una sintesi intrigante e perfino sorprendente, dando vita a uno spettacolo coinvolgente, arcaico e moderno insieme, con la cifra visionaria del Teatro dell’Elfo, dove i costumi “materici” di Antonio Marras, veri e propri “abiti-sculture”, realizzati da Elena Rossi e Ortensia Mazzei (mentre la decorazione del mantello di Edipo è stata affidata a Tonino Serra) si combinano con le maschere di Elena Rossi, tra le atmosfere suggerite dal disegno luci di Nando Frigerio, con sound design a cura di Giuseppe Marzoli e un cast “filologicamente” tutto al maschile, per una narrazione in chiave onirica e simbolica, ricca di echi letterari e teatrali, ispirata a una fiaba amara e perfino feroce, tra pathos e poesia.
In questa avvincente “riscrittura” di una tragedia “classica”, Ferdinando Bruni e Francesco Frongia – dopo un ideale prologo con “Verso Tebe. Variazioni su Edipo” – sono gli artefici e le guide di «un viaggio attraverso uno delle leggende più note che ci arrivano dal mondo remoto, eppure vicinissimo, della civiltà greca». Nel V secolo a. C. Sofocle con l’“Edipo Re” porta sulla scena il mito dell’eroe vittima del fato: nonostante tutto il suo impegno, la sua intelligenza e il suo coraggio, egli non può sottrarsi a un destino già scritto prima della sua nascita. “Edipo Re / Una favola nera” ripercorre «una vicenda che ha l’andamento di una favola, con tanto di principe/bambino abbandonato sui monti da un pastore che aveva ricevuto da due genitori snaturati l’ordine di farlo morire, con l’uccisione di un mostro da parte del bambino, diventato nel frattempo impavido cavaliere, con il premio di una bella regina in sposa e di una corona di re» – come ricordano i due autori e registi –. «Come tutto questo vada a finire, come il ‘vissero felici e contenti’ si ribalti in catastrofe è cosa piuttosto nota ed è fonte di ispirazione per innumerevoli variazioni che, dal capolavoro di Sofocle, arrivano fino al secolo appena concluso, passando per Seneca, Dryden e Lee, Thomas Mann, Hoffmansthal, Cocteau, Berkoff. Ed è quello che vogliamo raccontare nel nostro spettacolo, coniugando la tragedia con la fiaba.
Una fiaba nera, intendiamoci, una macchina infernale (come la chiama Cocteau), un meccanismo inarrestabile in cui ogni verso, ogni parola si fanno irti e frementi di dolorosa ironia e ambiguità. Il re smaschera sé stesso e si scopre mostro, ogni cosa che in lui sembrava gloriosa si rivela contaminata da orribili colpe e segna il destino di quella stessa città che lo aveva proclamato sovrano… Il destino che lo travolge ha richiesto un bel grado di complicità da parte sua, ogni passo che ha fatto per allontanarsi da un finale tragico lo ha invece avvicinato al suo infelice epilogo ed è proprio in questo meccanismo implacabile che risiede l’ironia del fato: cercando di sfuggire al nostro destino cospiriamo con lui. Edipo vive in una perenne contraddizione causata da quello che sa, ma soprattutto da quello che non sa di sapere e questa trappola alla fine scatta su di lui e lo conduce proprio nel posto da cui sarebbe voluto scappare».
«La tragedia dà voce ai complessi rapporti che intercorrono fra libertà e necessità, che sono tra i valori fondativi del nostro essere uomini e rappresenta per noi, creature del ventunesimo secolo, una sfida che ci mette di fronte a tutto quello che non riusciamo a controllare con le armi della ragione, grande mito della modernità» – spiegano Ferdinando Bruni e Francesco Frongia –. «In questo nostro “Edipo Re” cerchiamo di reinventare con uno sguardo contemporaneo un rito di cui alla fine sappiamo molto poco: l’uso delle maschere, per esempio, istituito forse per motivi religiosi, allo scopo di abbandonare l’identità individuale per raggiungere l’ékstasis, (ἔκστασις), l’‘uscita da sé’, per noi diventa uno strumento per aiutare gli attori a un diverso percorso di immedesimazione; così come il cast tutto maschile ci allontana da ogni tentazione di realismo per portare il racconto a una dimensione quasi sciamanica, per aprire un caleidoscopio di immagini oniriche capace di emozionare gli spettatori creando suggestioni ed evocando inquietudini che parlino al loro inconscio, anche se in questo viaggio siamo rimasti volutamente distanti da Freud e dalle sue teorie sul complesso di Edipo».
E mettono l’accento sul paradosso che scaturisce dal contrasto tra le buone intenzioni e le conseguenze imprevedibili dell’agire umano, in seguito a una serie di circostanze: «… secondo Aristotele, la situazione tragica non nasce dai difetti del protagonista bensì, paradossalmente, dalle sue virtù. L’uomo non è trascinato nella tragedia dalle sue pecche, ma dalle sue qualità. L’ “Edipo Re” ne è un perfetto esempio. A causare la tragedia dell’eroe non sono pigrizia e stupidità, da cui è immune, ma il coraggio e il senso di giustizia che lo animano. È da questa contraddizione che inevitabilmente scaturisce l’ironia urticante di questa storia, uno dei tanti motivi per cui questa vicenda continua ad affascinarci e a creare corto circuiti di senso con il nostro presente. È per la sua straordinaria potenza metaforica..». E così, concludono Ferdinando Bruni e Francesco Frongia: «diventiamo partecipi dell’ironia della sorte e, grazie a questo, la nostra comprensione del tragico si fa più profonda e più grande». (Ufficio Stampa CEDAC)
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