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Dolore che diventa germoglio. Il funerale di Giulia Cecchettin somiglia a una lezione, nella compostezza e nelle parole che la famiglia pronuncia fin dal primo istante – e come ogni lezione, si spera, che possa non essere dimenticata. Dentro e fuori la basilica di Santa Giustina a Padova non trova spazio la rabbia di chi chiede vendetta per una studentessa di 22 anni uccisa dall’ex fidanzato, ma c’è la voglia di fare ‘rumore’ contro i femminicidi. C’è una comunità, almeno 10mila persone dentro e fuori la chiesa, che per una settimana ha sperato in un finale diverso e che ora – dopo che Filippo Turetta ha confessato ogni dettaglio del delitto – è qui “con gli occhi pieni di lacrime e con gli orecchi bisognosi di essere dischiusi a un ascolto nuovo”, spiega nella sua omelia il vescovo Claudio Cipolla. “Quanto abbiamo vissuto ha reso evidente anche il desiderio di trasformare il dolore in impegno”. Un percorso che sa di danza nella pioggia, come quella che papà Gino – che non smette mai di sorreggere i suoi figli – prova a insegnare mentre fa i conti con un dolore che “sembra non finire mai” alleviato da un abbraccio che scalda e che ha i volti delle istituzioni – il ministro della Giustizia Carlo Nordio, il presidente della Regione Veneto Luca Zaia e tanti sindaci – e della gente comune: ragazzi con gli zaini in spalle, persone che hanno preso qualche ora di permesso dal lavoro, anziani che stringono forte un rosario tra le mani. “Mia figlia Giulia era una giovane donna straordinaria. Allegra, vivace, mai sazia di imparare. Oltre alla laurea che si è meritata” era “una combattente, un oplita, come gli antichi soldati greci, tenace nei momenti di difficoltà”: uno spirito indomito la cui morte “deve essere il punto di svolta per porre fine alla terribile piaga della violenza sulle donne”. Il femminicidio di Giulia deve segnare un cambio di passo per tutti – famiglie, scuola, società civile, mondo dell’informazione – ma in primis per gli uomini. “Parliamo agli altri maschi che conosciamo, sfidando la cultura che tende a minimizzare la violenza da parte di uomini apparentemente normali. Non giriamo la testa di fronte ai segnali di violenza anche i più lievi. A chi è genitore come me, parlo con il cuore: insegniamo ai nostri figli il valore del sacrificio e dell’impegno e aiutiamoli anche ad accettare le sconfitte”. Un’educazione che è “sessualità libera da ogni possesso e all’amore vero che cerca solo il bene dell’altro”. Ed è un passo della poesia di Gibran – ‘La vita non è una questione di come sopravvivere alla tempesta, ma di come danzare nella pioggia…’ – a dare la forza a Gino Cecchettin per l’addio. “Io non so pregare, ma so sperare: ecco voglio sperare insieme a te e alla mamma, voglio sperare insieme a Elena e Davide e voglio sperare insieme a tutti voi qui presenti: voglio sperare che tutta questa pioggia di dolore fecondi il terreno delle nostre vite e voglio sperare che un giorno possa germogliare. E voglio sperare che produca il suo frutto d’amore, di perdono e di pace”. E nella speranza di un abbraccio tra Giulia e mamma Monica, morta un anno fa, trova la forza anche la sorella Elena, vera guerriera contro il patriarcato, che prende la parola nella cerimonia più intima a Saonara, nella stessa chiesa in cui la vittima è stata battezzata. “Era buona, era la persona migliore che abbia mai conosciuto”, dice con la voce rotta dall’emozione. Per la prima volta fa spazio ai ricordi personali: racconta della passione per le scatole di latta, per le lunghe passeggiate, per il sogno di visitare la brughiera di Jane Austen, ma anche dei ‘difetti’ di dimenticare sempre le chiavi o di non saper scegliere neanche il gusto del gelato, “infatti faceva sempre a metà con la mamma. Giulia era la mia sorellina, ma anche la mia sorella maggiore, era onesta e dava ottimi consigli”. E sul sagrato sembra di vederla con il suo “impermeabile giallo preferito”, divertita a dare nomi strani ai suoi peluche. “Ora guardo il cielo e ti vedo in mezzo alle stelle, che fai a metà di un gelato con la mamma. Prima o poi ci rivedremo te lo prometto – dice Elena -, ma fino a quel momento so che sarai con me e che continuerai a essere il mio angelo custode perché in fin dei conti lo sei sempre stata”. E tra applausi e ‘Ciao Giulia’ quei semi posati sulla bara da don Francesco, e poi regalati ai ragazzi di Saonara, sembrano germogliare mentre la bara bianca raggiunge lenta il piccolo cimitero in provincia di Padova, dove Giulia riposerà vicino alla mamma. (dall’inviata Antonietta Ferrante) —cronacawebinfo@adnkronos.com (Web Info)
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