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Una micro-pompa artificiale, la più piccola al mondo, riduce di oltre un quarto la mortalità nei pazienti colpiti da infarto miocardico acuto complicato da shock cardiogeno, una condizione che insorge quando il cuore si 'spegne', smettendo di colpo di spingere il sangue verso gli organi vitali. In questi casi, che interessano fino a un infartuato su 10, il muscolo cardiaco resta senza 'carburante', la pressione crolla, reni e cervello smettono di funzionare e un malato su due muore. A consacrare l'efficacia della pompa a flusso microassiale (Impella CP) è lo studio danese DanGer Shock, pubblicato sul 'New England Journal of Medicine' e presentato in occasione al 75esimo Congresso dell'American College of Cardiology che si è chiuso ad Atlanta. "Lo shock cardiogeno, dopo un infarto miocardico acuto, è una condizione di inadeguata perfusione del cuore dovuta a necrosi delle cellule muscolari coinvolte nella contrazione dell'organo – spiega Pasquale Perrone Filardi, presidente della Società italiana di cardiologia (Sic) e direttore della Scuola di specializzazione in Cardiologia dell'università Federico II di Napoli – Colpisce dal 5% al 10% dei pazienti con infarto miocardico acuto e più della metà di questi pazienti muore durante il ricovero". Finora – ricordano gli esperti – le ricerche precedenti non avevano evidenziato un beneficio, in termini di sopravvivenza, per l'impiego di un dispositivo di supporto meccanico basato su una particolare pompa che 'pesca' il sangue ossigenato dal ventricolo e lo immette nell'aorta. Un device sulla cui sicurezza la Fda statunitense aveva lanciato un 'warning'. Il nuovo studio ha coinvolto 355 pazienti suddivisi casualmente in due gruppi: su 179 è stata utilizzata la pompa a flusso microassiale e su 176 la terapia standard. La morte per qualsiasi causa si è verificata in 82 pazienti su 179 (45,8%) nel gruppo con pompa a flusso microassiale e in 103 pazienti su 176 (58,5%) nel gruppo con terapia standard. "Dopo 25 anni – commenta Ciro Indolfi, past president della Sic e professore ordinario di Cardiologia all'università degli Studi Magna Graecia di Catanzaro – questo è il primo studio che dimostra che è possibile ridurre la mortalità del 26% nei pazienti con shock cardiogeno, una condizione estremamente grave che conduce a morte nel 50% dei casi. La selezione dei pazienti è stato l'elemento chiave dei risultati di questo studio che ha documentato un reale beneficio sulla sopravvivenza in una patologia dove la terapia medica è solitamente inefficace. Tuttavia – precisa lo specialista – l'utilizzo di questo catetere, che è grande, può dare delle complicanze alle arterie, che in futuro potranno essere ridotte grazie a un più attento controllo dell'accesso vascolare". Lo studio ha dimostrato anche che le curve di sopravvivenza si separano precocemente, con una mortalità nei controlli in aumento nei 180 giorni successivi all'inizio dell'osservazione, mentre la mortalità rimane stabile dopo 30 giorni nei pazienti trattati con la micro-pompa. "Questi ulteriori strategie terapeutiche, associate ad un trattamento tempestivo dell'infarto con lo stent coronarico – concludono Indolfi e Perrone Filardi – contribuiranno ad un aumento della sopravvivenza nei soggetti colpiti da questa patologia che, purtroppo, rappresenta ancora la causa numero uno di morte nell'uomo e nella donna". —cronacawebinfo@adnkronos.com (Web Info)
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