(Adnkronos) – Quello delle mutilazioni genitali femminili (Mgf) "è un tema complesso. E' più di un taglio". Entrano in gioco "fattori culturali" molto radicati, "di appartenenza alla comunità, di condivisione del dolore tra donne. Alcune persone immerse e cresciute in questa cultura ti dicono: 'L'abbiamo sempre fatto, qual è il problema, perché non lo dovrei fare?'. Sono cose sbagliate? Sì. E' una cosa che non si dovrebbe fare? Sì. Ma noi accompagniamo le persone a diventare consapevoli di questo, senza giudicarle". Edna Moallin Abdirahman ha quasi 60 anni, è una Community Trainer nell'ambito del programma 'Join our Chain' finalizzato ad aumentare la consapevolezza dei rischi delle Mgf, collabora con l'organizzazione internazionale ActionAid dal 2016 ed è stata una delle prime attiviste in Italia contro le Mgf. "Cerco di essere in mezzo tra la mia cultura e questa comunità che ci ha accolto", un 'ponte', racconta. In vista della Giornata internazionale contro le mutilazioni genitali femminili, in programma il 6 febbraio, prova a spiegare quanto il linguaggio sia importante per creare questo ponte fra culture, per stabilire un contatto. Una vita in prima linea su più fronti la sua: lavora in un centro diurno per anziani e nel campo della cooperazione internazionale. "Sono stata testimone del primo intervento cardiochirurgico pediatrico a Mogadiscio" in Somalia, racconta in un'intervista per l'Adnkronos Salute, e ha fondato un'associazione chiamata Ameb Mother & Child, con cui organizza viaggi sanitari per bambini malati di cuore, affinché dalla Somalia possano venire in Italia a curarsi. Ha due figli, una ragazza di 23 anni e un ragazzo 20. Il 6 febbraio sarà a Milano anche lei in occasione del Summit Itinerante sulle mutilazioni genitali femminili, promosso dalla Società italiana di chirurgia plastica ricostruttiva-rigenerativa ed estetica (Sicpre) con ActionAid. Il suo punto di forza nell'approccio con le donne sul tema delle Mgf? Sa di cosa si parla e si spende per contrastare lo stigma sociale che spesso accompagna questo tema. "Io cerco di far capire e far riflettere" queste donne. "E cerco di capire come va fatta la comunicazione" nei loro confronti. "Non bisogna dire, come mi è stato raccontato, 'siete quelle mamme cattive che fanno queste cose alle figlie'. Nessuna mamma è cattiva. Mia madre non lo è, non mi ha mutilata, ha solo cercato di inserirmi all'interno della mia comunità. Quando una persona vive all'interno di un mondo e vede solo quel mondo senza avere la possibilità di confrontarsi con qualcos'altro, le sue certezze, la giustizia che vede è correlata a quel mondo lì. Ci sono pratiche che nessuno sa da dove sono cominciate, sono una cosa che si fa da quando hanno memoria. Bisogna dunque conoscere quella realtà per poter comprendere come accompagnare le donne a capire" che sono pratiche da superare. "Il mondo va avanti, si capiscono gli errori, cambiano le modalità dei comportamenti". "Non è facile – racconta – ma per me è sempre una piccola soddisfazione quando riesco a far capire una cosa a un'altra donna. Una mamma una volta mi ha detto: 'Sono felice perché sto dicendo a voce alta quello che dicevo a voce bassa'. Questo mi colpisce e mi porta a dire: parliamone, io non ti giudico. E cominciare a parlarne è tanto di guadagnato. Io non posso dire che questa pratica non si fa più oggi, magari la si fa in modo più leggero, ho visto un calo della gravità della mutilazione", ma resta l'ancoraggio a una cultura difficile da superare. Chi ha lasciato il suo Paese "non lo fa, perché vive in un contesto diverso. Mentre le ragazze che arrivano" già più grandi "da Paesi come la Somalia ti raccontano" ancora "di aver avuto" mgf. "Quando vivono nel loro Paese d'origine – continua l'esperta – può capitare che trovi qualche donna che si chiede: 'Perché, se io l'ho fatto, mia figlia non deve farlo? Io dopotutto vivo la mia vita tranquilla, sì ho dolore, ho avuto problemi durante i primi rapporti, dolore al parto, ma fa parte del percorso di una donna'. Se tu però riesci a mettere un piccolo dubbio in questa persona sul perché farlo e far vivere lo stesso alla propria figlia, allora vuol dire che stai facendo un primo passo di prevenzione". Ma, certamente, "serve che passino più generazioni perché possa essere solo un ricordo", ammette. Edna si confronta anche "con rappresentanti di altri Paesi" che affrontano il tema delle Mgf "per condividere strategie e affrontare in modo comune questo problema. Mi sono occupata tanto anche della formazione di chi lavora in ambito sanitario", altro tassello importante, assicura. "Siamo andati nei consultori e negli ospedali, perché una professionista che vede per la prima volta una donna circoncisa sappia come rapportarsi usando le parole giuste", non stigmatizzanti. Per esempio "io vengo da una società matriarcale e sono le donne che fanno questo". Saperlo è importante, spiega, per impostare il dialogo con le pazienti nel modo più corretto e "accompagnarle in scelte" mediche finalizzate al miglioramento della qualità di vita. "C'è qualcuna che si vergogna – racconta Edna – qualcuna che si nasconde, qualcuna che si sente inferiore. Noi diciamo loro di non sentirsi così. Loro non si devono giustificare", conclude. —cronacawebinfo@adnkronos.com (Web Info)
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