Si è disposti a sacrificare diritti e libertà in nome della sicurezza?

 La sicurezza è un tema, ormai da diverso tempo, al centro del dibattito pubblico e della comunicazione politica. Oggi, si avverte sempre più una “rottura” del rapporto tra sicurezza e libertà, riconducibile, in particolar modo, alla violenza mossa dagli efferati attentati terroristici caratterizzanti il XXI secolo; c’è stata una forte contrazione dei diritti fondamentali causata da tale crisi che evoca un po’ l’immagine di una “tenaglia”, la quale comprime la garanzia di tutela di tali diritti. Affrontare il tema del rapporto tra crisi e diritti fondamentali non è certo una idea originale, in quanto il binomio sicurezza/diritti non è certo nuovo, inedito; infatti ciò che oggi sembra essere mutato, rispetto al passato, è il diverso contesto. L’instabilità istituzionale prodotta dalle crisi, sia economiche sia politiche, «porta gli Stati a difendersi mettendo in crisi anche le libertà. Il terrorismo è un particolare ingrediente di questa miscela». Viviamo in un’epoca in cui la minaccia non è nuova, inedita, forse inedita nelle forme, ma non è la prima volta che vi è una minaccia nel nostro paese; il terrorismo è sempre esistito, ma ha assunto oggi dimensioni sconosciute nel passato. La crisi della sicurezza, legata sempre di più al fenomeno del terrorismo internazionale, sta condizionando la vita e il nostro modo di vivere socialmente. In passato vi sono state altri tipi di minacce, ma quella di oggi deve essere combattuta con strategie a lungo raggio. Contrastare il terrorismo è assai complesso ed in particolare da parte delle democrazie liberali, perché ogni aumento di sicurezza determina contrazioni delle libertà; solo una profonda riorganizzazione delle forze e delle strategie per combattere il terrorismo permetterà di garantire un livello ragionevole di sicurezza, senza incidere troppo su libertà e sui diritti dei consociati. La crisi della sicurezza sta ridisegnando alcuni settori del diritto poiché questo non è un mondo a se stante, ma un insieme di strumenti che servono al nostro vivere comune; il diritto è una scienza, una risposta, uno strumentario per favorire la vita comune. E’ un fenomeno sociale ed è interessante partire dai problemi sociali che la vita propone per valutare se, in che modo, in quale misura e con quale efficacia il diritto sta rispondendo a tale fenomeno sociale. C’è stato un grande ritorno di attenzione e riflessione su questi temi, anche se la questione si presenta in parte nuova in questi anni; quindi si può dire che concetti antichi conoscono situazioni e contesti in parte nuovi, forse più preoccupanti di un tempo, forse più preoccupanti da affrontare con cautele diverse. La crisi della sicurezza degli ultimi anni ha subito una duplice trasformazione. In primo luogo si avverte la netta sensazione che il fenomeno non sia più eccezionale, non sia più temporale, ma sia ormai un tratto permanente della vita degli ordinamenti; non è più l’emergenza a cui si risponde con un diritto dell’emergenza, ma ormai un dato radicato e costante degli ordinamenti quale ad esempio la paura quotidiana del terrorismo, cui si tende ormai a fare l’abitudine. Si è parlato di “terrorismo del tempo ordinario”; si avverte una “normalizzazione dell’emergenza”, ovvero rendere gli strumenti eccezionali, che dovevano servire a rispondere ad eventi straordinari, degli strumenti normali, o più normali, perché il contesto appunto è cambiato. Testimonianza di questa normalità dell’emergenza è la grande progettualità normativa, sempre più statalizzata, emanata dai governi in risposta ai grandi tempi di crisi. Sembra rilevante il richiamo agli indirizzi seguiti dalla giurisprudenza costituzionale nel periodo degli “anni di piombo”, durante i quali furono approvate legislazioni emergenziali da parte del legislatore, le quali negli ultimi anni sono state riprese, ma con la sostanziale differenza che quelli erano “anni di piombo”, relativamente circoscritti ad un determinato periodo storico e oltretutto nell’ambito prevalente dei confini nazionali, mentre oggi è stato avvertito un tentativo di estendere quelli stessi strumenti adottati in epoca passata, appunto quella degli “anni di piombo”, ad un terrorismo di carattere diverso quale quello di matrice islamica. Nel periodo degli “anni di piombo”, la Corte Costituzionale, proprio nell’apprezzare la costituzionalità degli interventi emergenziali del governo per tamponare i rischi della legislazione dell’emergenza degli anni di piombo, aveva ricordato due cose: 1) Lo Stato ha il dovere di tutelare l’ordine democratico e la sicurezza pubblica; 2) la legislazione di emergenza è ragionevole solo in quanto temporanea, ovvero solo in quanto deroga circoscritta alla disciplina generale. Ecco, il rischio che è presente in questi tempi, è quello che le risposte all’emergenza, poiché il contesto è mutato, finiscono per diventare un po’ un nuovo ordine che si sovrappone a quello vecchio. L’interesse finalizzato al contrasto del terrorismo e alla tutela della sicurezza nazionale ed internazionale «non può giustificare la lesione ingiustificata di diritti fondamentali delle persone e deve essere pertanto perseguita nell’ambito della legalità costituzionale». La lotta al terrorismo, come sottolineato dal Presidente della Corte israeliana Aharon Barak, «non va condotta fuori dalla legge, ma dentro la legge, usando gli strumenti che la legge mette a disposizione dello Stato democratico». Ciò che occorre fare è quindi evitare di anteporre e contrapporre alla sicurezza la tutela dei diritti fondamentali della persona; per fare ciò occorre che in Europa si rafforzi senz’altro la cooperazione giudiziaria in materia penale, la cooperazione tra magistrati e anche tra forze di polizia. Da un lato c’è l’intenzione degli Stati di doversi tutelare, dall’altra parte c’è l’importanza di dovere tutelare tali diritti. Nonostante rappresenti un bene di fondamentale importanza, decisivo, «la sicurezza non può essere un tema esclusivo perché altrimenti si rischia che i diritti diventino ostaggio della sicurezza». Il prezzo che oggi l’occidente sta pagando, e di cui si dibatte molto, è proprio quello di “togliere” la protezione individuale dei diritti fondamentali della persona, e questo oggi è un gravissimo errore, perché quello che forse oggi contraddistingue l’occidente dal fondamentalismo islamico e dai fanatici islamici si fonda proprio su una società civile, democratica, libera che non bisogna perdere; ciò che oggi sembrerebbe una debolezza, deve essere invece un punto di forza, di merito. Soprattutto in questo momento, l’Europa deve dimostrare di essere capace di saper fronteggiare nel migliore dei modi queste problematiche, queste emergenze globali, con riferimento non solo al terrorismo di matrice islamica, ma anche ad esempio ai flussi migratori, alla lotta all’immigrazione clandestina, e quindi altre situazioni complesse che in parte sono correlate con quella del terrorismo. La lotta al terrorismo deve avvenire dunque nel pieno rispetto dei diritti fondamentali della persona, e anche dei diritti dei terroristi. Il terrorismo e la crisi vanno affrontati in una area globale; se l’area non è globale, allora non ci sono gli strumenti adeguati per affrontarli. La lotta contro la criminalità organizzata, la mancanza di sicurezza e il terrorismo, per quanto possa risultare legittima, «non dovrebbe in ogni caso andare a scapito dei diritti fondamentali e delle libertà democratiche, senza rimettere in causa i fondamenti stessi dell’Unione europea». La Convenzione protegge il diritto alla vita e anche all’integrità fisica delle persone, quindi gli Stati hanno il dovere di proteggere la vita e l’integrità fisica delle persone che si trovano sul loro territorio; se questi beni sono messi a rischio dal terrorismo, lo Stato allora avrà il dovere di combattere questo fenomeno che si fa sempre più minaccioso. C’è bisogno di una Europa che non smarrisca la propria identità; inoltre è necessario che rimanga fedele a quei valori e a quei diritti per i quali è stata e continua ad essere un riferimento in tutto il mondo. La garanzia dei diritti fondamentali è uno dei principi di base dell’ordinamento giuridico dell’Unione europea. L’Europa, di fronte alla minaccia terroristica, ci si augura che sappia far valere i diritti della sicurezza che sono fondamentali, ma senza snaturarsi, senza intaccare la sfera dei diritti dei propri cittadini poiché sarebbe una sconfitta per la nostra civiltà se i gruppi terroristici riuscissero a stravolgere con la loro azione violenta i nostri principi di civiltà. Appare evidente come la “guerra al terrorismo” abbia finito per ripercuotersi sul regime interno dei diritti. Nell’equilibrio fra sicurezza e libertà la prima ha assunto, almeno in una parte degli ordinamenti, un ruolo dominante e comunque assai incisivo. Le misure restrittive che violano i diritti non sono efficaci nel garantire la sicurezza poiché una presunta limitazione dei diritti civili comporterebbe un indebolimento della sicurezza dello Stato. “Chiunque limiti le libertà civili e i diritti dei cittadini è un dittatore. I dittatori non difendono la democrazia, piuttosto il loro potere e la loro violenza nell’esercitarlo”.

​Guttae Legis

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